L’archeologia ci permette di comprendere meglio il nostro passato per farci capire la strada che la nostra civiltà ha percorso fino a oggi.
Questo genere di ricerca, però, non è sempre facile, perché in molte occasioni bisogna fronteggiare ambienti ostili, come sconfinati deserti, gelide tundre, profonde giungle, oscure grotte e fondali profondi.
E proprio il fondo del mare è stato teatro di un’ambiziosa spedizione archeologica per esplorare un sito unico al mondo, localizzato tra Marettimo, Levanzo e Favignana in Sicilia, Italia.
Lì, nel 241 Avanti Cristo, ebbe luogo la Battaglia delle Egadi tra Roma e Cartagine che pose fine alla Prima Guerra Punica, durata 23 anni, grazie una decisiva vittoria romana.
Quel tratto di mare, quindi, custodisce reperti di un campo di battaglia che è quello più antico mai scoperto fino a oggi e racconta l’inizio dell’ascesa di Roma come superpotenza del mondo antico, scalzando l’Impero Cartaginese e stabilendo il proprio dominio sul mare e in guerra.
Tuttavia, accedere a questo tesoro storico non è facile, poiché si trova a 80 metri di profondità sparso in un’area con fondale sabbioso lunga 4 chilometri e larga 3 in un tratto di mare spazzato da forti correnti sottomarine.
È quindi un sito archeologico unico al mondo anche per le difficili condizioni da affrontare e per questo motivo l’operazione è stata affidata agli esperti subacquei della SDSS, Società per la Documentazione di Siti Sommersi.
Leader del progetto è Mario Arena, che in questa Suex Story ci racconta come hanno affrontato questa difficile sfida e come Suex abbia contribuito a superarla.
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Trattandosi di un sito senza precedenti, racconta Mario, hanno dovuto costruire l’operazione da zero, definendo soluzioni specifiche per queste particolari circostanze.
Per superare le correnti, l’imbarcazione d’appoggio si posizionava a 200 / 300 metri dal sito a monte della corrente, compensando così lo spostamento causato da essa.
Una volta giunti sul fondo, l’acqua era più calma e permetteva di concentrarsi sulla sfida successiva, cioè l’individuazione di reperti celati dalla sabbia.
Rispetto ai robot, i subacquei dimostrano una maggiore capacità di ricerca visiva, poiché sedimenti e rocce interferiscono con la strumentazione elettronica, sono più veloci e delicati nel maneggiare i reperti e nel prepararli all’emersione, e sono più efficienti nel predisporre griglie e nella fotogrammetria.
Tuttavia, queste attività venivano svolte sostenendo il peso della colonna d’acqua soprastante.
La profondità significava anche che la risalita durava 3 / 4 ore per la decompressione, incrociando di nuovo le correnti marine e correndo quindi il rischio di essere trascinati via e perdersi in mare.
A nuoto sarebbe un’impresa impossibile, quindi era per forza necessario uno scooter DPV; tuttavia, uno qualsiasi non bastava, perché serviva un’avanzata tecnologia per fronteggiare con successo tutte le sfide e portare alla luce un importante tassello della storia dell’umanità.
Per questo motivo, Mario Arena e la SDSS hanno scelto i DPV Suex poiché offrono:
- Elevata potenza per vincere le correnti marine avverse;
- Elevata autonomia per raggiungere il fondale, esplorare l’area di 12 km2 e affrontare la lenta risalita;
- Indicazioni chiare e immediate sull’autonomia residua per il pieno controllo dell’immersione;
- Sistemi di navigazione avanzati per sapere sempre dove si trova il sub.
Suex ha anche assistito l’operazione sviluppando un progetto proposto dal team SDSS per sfruttare l’aspirazione frontale e la propulsione posteriore generate dal rotore per rimuovere i sedimenti dai reperti una volta ritrovati.
I nostri scooter DPV sono al fianco dei subacquei di tutto il mondo, dagli esploratori come Mario Arena agli appassionati che vogliono scoprire il mondo sottomarino.